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a cura di
Giampietro Paraboni

Si parla ormai da un po’ di anni di Digital Transformation: è lecito chiedersi se effettivamente le aziende, grandi o piccole che siano, stiano facendo realmente trasformazione o se semplicemente stiano implementando nuove tecnologie.

Non che la semplice implementazione non dia benefici, ma sicuramente la trasformazione consente alle aziende di fare quel salto quantico che consentirà loro di competere nel futuro su scale globale cambiando le regole del gioco.

In Italia però il tessuto produttivo ha incontrato notevoli difficoltà nell’adozione delle tecnologie digitali come emerge chiaramente l’indicatore Business Digitisation 2022. Infatti secondo la Commissione europea (Digital Economy Society Index (DESI)) l’Italia nel 2020 ha perso 5 posizioni rispetto al 2015, attestandosi ora al 22° posto su 27 per livello di digitalizzazione delle imprese nel 2020.

D’altra parte dallo studio di Public Fairs per il 2022, emerge che solo il 42% della popolazione possiede competenze digitali di base. Tale carenza ostacola la crescita del sistema produttivo italiano: per l’83% delle aziende le competenze digitali sono reputate essenziali, il 38% delle aziende sostiene che la carenza di competenze digitali rallenta la loro crescita, il 21% che aumenta i costi e il 22% che frena lo sviluppo di nuove tecnologie (corcom).

Cogliere a pieno la digital transformation, senza limitarsi all’ottimizzazione dei processi esistenti, per la maggior parte del tessuto imprenditoriale italiano significa cogliere le opportunità derivanti dalla revisione di un modello di business incentrato sul prodotto per avviare una reale product servitization.

Per avviare tale trasformazione è necessario cambio culturale trasversale. Dalla forza di vendita, che deve essere in grado di argomentare la distribuzione di un servizio e i benefici derivanti, e non più limitarsi alle caratteristiche tecniche di un prodotto, per poi passare ai processi di post vendita ed assistenza che diventano essenziali nell’erogazione del servizio. Per non parlare dei processi amministrativi e di fatturazione che nella maggior parte dei casi, da un fenomeno spot, si trasformano in modalità di pagamento e fatturazione a canoni. Tale aspetto è confermato dal fatto che il 59% delle imprese italiane è consapevole che tra i fattori più critici per il successo della digital trasfromation ci siano l’acquisizione di un nuovo mindset e di una cultura digitale.

Sono però ancora poche le aziende che hanno preso consapevolezza di questa difficoltà, tanto è vero che, come emerso dalla ricerca di Unioncamere, solo un’impresa su due ha realizzato corsi di formazione ai propri dipendenti e manager per supportare la trasformazione digitale.

Alcune aziende che già da anni stanno dando il buon esempio investendo in maniera significativa sul capitale umano esistono: Enel ha mappato le digital skill interne (Digital Readiness Assessment) e le mentalità innovative in azienda (Lateral Thinking Assessment) attraverso un percorso di gaming che una volta testato in Italia è stato esteso a tutto il mondo. Tale progetto ha consentito di individuare 4 profili digitali differenti: Star Digitali, Startupper, Guru Digitali e Hacker. Con la di fase di Lateral Thinking Assessment. Enel ha costituito una vera e propria Digital Community, ossia “il polmone digitale del gruppo” composta dai Digital Champion, con capacità tecnica ma anche di pensiero laterale.

Sicuramente un ottimo inizio e un buon esempio da seguire.